Il report, recentemente pubblicato da Wetpaint/Altimeter Group, ci offre lo spunto (e la spinta!) per trattare in questa sede di social media marketing, uno dei principali argomenti di studio, approfondimento e analisi dell’Executive Master di Scuola di Comunicazione IULM che stiamo attualmente frequentando.

Lo studio ha preso in esame le prime 100 global brands classificate da Business Week/Interbrand ‘Best Global Brands 2008’ (tra cui spiccano nomi quali: Apple, Coca-Cola, Nokia, Google, Microsoft, Zara, Chanel, Sony, Nike, HP, Disney, Ikea e molti altri nomi über-noti a tutti…) e le ha classificate in base al loro livello di ‘engagement’ in 11 diversi tipi di social media tra cui: blog, social networks proprietari, social networks generici, wikis, forum di discussione, microblogging.

Il criterio primario utilizzato dai ricercatori per soppesare numericamente le strategie di social media marketing è stato l’engagement quella parolina ‘magica’ che sempre torna nelle conversazioni sui SM e che qualcuno prova anche a tradurre in italiano ma che, a mio modesto parere, deve rimanere così com’è perché ogni tentativo di traduzione ne limita ed impoverisce il suo significato intero.

In particolare, l’engagement sui SM messo in atto dalle varie aziende in esame è stato valutato non solo in base a criteri di ampiezza di presenza (ovvero su quanti social media i brand erano attivi) ma anche in base alla profondità di presenza (ovvero al livello di interazione con la propria audience). Questo secondo criterio non è ovviamente da sottovalutare perché spesso ancora molte aziende, soprattutto quelle che da poco si sono avventurate in queste nuove acque, si limitano a presidiare superficialmente i SM decidendo di aprire un blog, un account Twitter o una fan page su Facebook magari senza aver prima delineato una strategia precisa e condivisa internamente e senza aver adeguatamente predisposto risorse (economiche e soprattutto umane!) all’importante compito.

L’incrocio tra le due metriche sopra citate ha dato i seguenti risultati (in parentesi il punteggio a loro assegnato dai ricercatori):

1. Starbucks (127)

2. Dell (123)

3. eBay (115)

4. Google (105)

5. Microsoft (103)

6. Thomson Reuters (101)

7. Nike (100)

8. Amazon (88)

9. SAP (86)

10. Tie – Yahoo!/Intel (85)

In particolare, a seconda del loro livello di engagement sui SM, le aziende sono state classificate in una di queste quattro categorie:

Mavens: coloro che sono attivi in sette o più SM e che hanno raggiunto un punteggio di engagement alto. Interagiscono regolarmente con le proprie audiences coinvolgendole nei loro processi decisionali, hanno un team dedicato al social media marketing e hanno una strategia ben delineata

Butterflies: coloro che sono attivi in sette o più SM ma che, differentemente dai precedenti, non hanno raggiunto un punteggio di engagement alto in tutti i SM in cui sono presenti. Hanno il potenziale di diventare Mavens ma devono investire più risorse o riuscire ad avere l’appoggio dei decision makers interni

Selectives: coloro che sono attivi in sei o meno di sei SM e che hanno raggiunto un punteggio di engagement alto. Ci possono essere diverse ragioni per cui un brand si trova tra i Selectives e non tutte necessariamente negative. Ad es. per precisa scelta di andare a presidiare solo quei canali che gli permettono di instaurare un rapporto con specifiche audiences (es: audience interne, catena distributiva, sviluppatori di prodotto)

Wallflowers: coloro che sono attivi in sei o meno di sei SM e che hanno ottenuto un punteggio di engagement basso o inferiore alla media. Anche qui le ragioni possono essere molteplici, ma nel caso di queste grandi aziende è molto probabile che abbiano intrapreso la strada del social media marketing da poco o che stiano studiando come e dove muoversi

engaged_brands

Il report va poi oltre ed elenca tutte le 100 aziende in base al loro engagement level ottenuto, le classifica anche in base al settore di appartenenza e riporta quattro casi di best practice (Starbucks, Toyota, Dell, SAP) con esempi pratici di casi di successo da cui è possibile trarre spunti interessanti per mettere in atto una strategia di SM vincente.

Per chi vuole approfondire e consultare i dati può accedere al report

Concludo con alcuni spunti di riflessione che sono emersi dalla mia lettura del report e che spero possano generare uno scambio di idee e di opinioni in questa sede (o tra noi in aula):

welcome to the social era: nonostante il periodo di crisi economica tutte le grandi aziende hanno investito e stanno investendo nei SM. Ormai i brand che non sono presenti (in maniera più o meno evoluta) sui SM (blog aziendale, pagina FB, Twitter, You Tube etc.) rappresentano l’eccezione alla regola

one size fits all? no grazie: non esiste una formula magica, un mix perfetto pre-confezionato e pronto all’uso per tutti, ma esistono tanti canali diversi, ognuno con le proprie peculiarità i propri linguaggi e ognuno adatto per interagire con specifiche audiences a seconda degli obiettivi da raggiungere

social media pays off: si riscontra una correlazione tra la performance finanziaria delle aziende monitorate e il relativo livello di SM engagement. Un ‘social brand’ che partecipa attivamente alle conversazioni in rete, conosce i propri pubblici, stimola la discussione, si apre verso l’esterno, crea un vero valore aggiunto per le sue community, contribuisce anche ad innescare un meccanismo di ritorno economico positivo per se stesso

it takes two to tango…ed in questo caso si balla meglio in tre: innescare una strategia di social media marketing senza il benestare, l’appoggio e soprattutto il commitment del management aziendale può rivelarsi una corsa controvento. Alla stessa stregua, risulta particolarmente vantaggioso individuare dei champions interni che capiscano questi nuovi linguaggi, conoscano gli strumenti e possano fare da ponte tra l’azienda ed il mondo esterno. Ma tutto questo rimane un esercizio inutile se non si riesce a coinvolgere il terzo polo: l’audience esterna, i clienti, i consumatori, gli utenti, il pubblico…ovvero tutti noi: le persone.

Patrizia Re