Il concetto di personal branding è emerso per la prima volta nel 1997 con l’articolo di Tom Peters The Brand Called You pubblicato sulla rivista americana Fast Company Magazine. Più che un articolo, quasi un manifesto di diverse pagine anche per la validità dei contenuti che sono tuttora attuali. Tom Peters suggeriva di vederci come direttori marketing del nostro brand-persona, CEO dell’azienda ‘Io SpA’ e parlava già della forza del ‘word of mouth’ sociale.
L’ammontare di contenuti presenti in rete sull’argomento è a dir poco sbalorditivo: Google elenca 15.900.000 risultati con le parole chiave ‘personal branding’ e addirittura 83.700.000 risultati digitando ‘personal branding social media’. Vi sono interi blog dedicati al personal branding tra i quali spicca il popolare www.personalbrandingblog.com di Dan Schawbel, definito dal New York Times ‘personal branding guru’. Lo stesso Dan Schawbel ha creato la sua fortuna con il personal branding, pubblicando anche un libro Me 2.0 ed una rivista, Personal Branding Magazine, oltre al citato blog. Secondo Dan “we are all brands” e descrive in poche semplici parole cosa è per lui il personal branding come “il modo in cui ci presentiamo all’esterno”, quindi non come ci vediamo noi, ma come gli altri ci percepiscono, ci vedono e si ricordano di noi. Dunque vale la pena lavorarci sopra.
Rimanendo in Italia, Luigi Centenaro ha scritto un ebook Personal Branding con i Social Media che è stato scaricato più di 5.000 volte e che presto, con le dovute modifiche, diventerà un libro vero e proprio edito da Hoepli. Ci sono anche blog completamente dedicati all’argomento come www.personalbranding.it
Vi è chiaramente un parallelismo tra le strategie di personal branding e quelle di product branding. Innanzitutto esse condividono la stessa matrice: il marketing. Queste strategie si esplicano quindi con azioni mirate, attraverso le quali si cerca di costruire un’identità visibile, individuando le ‘unicità di prodotto’, ed andando a lavorare sulla percezione che gli altri hanno di noi, sulla reputazione della marca/persona e a gestire la comunicazione in base agli obiettivi strategici che vogliamo raggiungere.
Ma come fare? Da dove cominciare? Le prime domande da porsi sono:
- chi siamo
- cosa facciamo
- in che cosa ci differenziamo dagli altri
- su cosa possiamo fare leva per evidenziare le nostre unicità
Rispondere con chiarezza di pensiero e con sincerità a tutti i punti, prestando una cura particolare al terzo e quarto, significa riuscire a ritagliare potenzialmente una nicchia per se stessi. Ci si propone in Rete come qualcosa di diverso e non come il clone di altri, offrendo un valore aggiunto che sia in grado di fare la differenza e possa determinare il nostro successo personale in Rete e fuori.
E’ sensato avere una strategia integrata di personal branding sui SM, ma questo non implica che bisogna pubblicare gli stessi contenuti indiscriminatamente su tutte le piattaforme utilizzate. I contenuti che vogliamo diffondere sui SM devono essere declinati a seconda degli ambienti che si frequentano e del pubblico/target che si vuole raggiungere. Ad es. molte persone usano Facebook per rimanere in contatto con amici, di vecchia data e nuovi, più che per motivi di lavoro. In tal caso non avrebbe senso inviare su FB lo stesso status update che si è creato per il profilo professionale su Linkedin o su Twitter, anch’esso sempre più spesso usato per tessere e sviluppare relazioni di business: sapere quindi sempre con chi si sta parlando, di cosa e del perché lo si fa…sono le buone regole di comunicazione che ritornano a galla, anche sui SM. Chi ha un blog potrà utilizzare questo spazio come ‘sede centrale’ della propria attività in rete, dove poter trattare su più vasta scala gli argomenti di suo interesse e competenza, dove poter indicare opportunamente i profili sui vari SM a cui partecipa e costruire con il tempo (ci si augura) una online reputation e di conseguenza una propria audience.
Il personal branding è legato indissolubilmente alla fiducia che riusciamo a costruire intorno a noi, così come accade per i marchi a cui quotidianamente affidiamo le nostre scelte: perché acquistiamo un paio di Nike piuttosto che di un altro brand? Perché compriamo una determinata marca di caffé? Spesso la risposta è perchè riponiamo in quel bene/marchio la nostra fiducia che la sua promessa di aggiungere valore o di soddisfare un nostro bisogno verrà mantenuta. Sulla fiducia si basa la gran parte delle scelte che vengono fatte in ogni momento nel mondo sia nel business, che nella politica, che a livello personale.
Nel personal branding la fiducia si costruisce passo per passo intessendo relazioni sia on-line che off-line con i gruppi e le persone che abbiamo individuato come stakeholder strategici per la definizione della nostra marca/persona. Sui SM le relazioni si costruiscono non solo con la presenza ma con la costanza, con l’ascolto, con l’empatia, con la partecipazione, con la condivisione, con la conoscenza…tutte attività che sono essenziali sui SM per il successo tanto di qualsiasi campagna di marketing, quanto per la promozione di se stessi.
I SM non hanno cambiato le regole fondamentali di una buona strategia di personal branding, ma ne hanno piuttosto ampliato esponenzialmente le possibilità di promozione, la rapidità di diffusione dei contenuti attraverso la viralità ed il passaparola. Chiaramente, ciò che può essere visto come un vantaggio intrinseco di questi nuovi strumenti di comunicazione, può anche rivelarsi un’arma a doppio taglio nel momento in cui ci si improvvisa in un ruolo creando una presenza digitale che non abbia una direzione precisa o che non sia in sintonia con la nostra ‘vera’ personalità nella vita reale. Attenzione anche a ciò che si fa in Rete e che si pubblica: la linea di demarcazione tra la cosiddetta vita reale e vita digitale è ormai scomparsa. In molti casi il primo passo per avere informazioni su una persona è digitarne nome e cognome su Google. Questo è sempre più importante in ambito lavorativo dove i SM sono frequentemente utilizzati da potenziali datori di lavoro per verificare la reputazione e l’immagine in Rete dei candidati. Negli USA il 45% di chi assume controlla le credenziali del candidato sui vari SM prima di prendere una decisione.
La Rete ha un’ottima memoria e niente di quello che accade online viene cancellato, quindi attenzione ai passi falsi.
io credo che se si è tendenzialmente ben disposti verso gli altri e al confronto, fare personal branding online non risulterà particolarmente difficile.
complesso è spiegarlo alle aziende che la pensano ancora come una volta: guadagnare il massimo impegnandosi il minimo (=fregare i clienti). queste aziende vengono stroncate dai social media e ne sono, sinceramente, contenta! ognuno deve assumersi le proprie responsabilità!
recentemente è uscito un mio piccolo contributo sulla rivista Glamour di Ottobre in cui si parla di reputazione online, argomento sempre più stuzzicante quanto spinoso… e se anche la carta e Matrix ne parlano………. significa che sta creando parecchie grane!!!! voi che ne dite? (nel link proposto c’è anche la scansione della’rticolo)
A tal proposito vi segnalo una presentazione non recentissima – 2 mesi fa – di Tim Brunelle e Greg Swan “The brand of you in the digital age”
http://www.slideshare.net/tbrunelle/brand-of-you-in-the-digital-age-mnamamima
in cui il successo è legato indissolubilmente al LISTEN+PARTICIPATE, ma non credo possa essere così riduttivo…
Creare un personal branding efficace è determinato da una molteplicità di fattori: ascolto, partecipazione sì….ma soprattutto comunicare, attraverso la rete, la veridicità e trasparenza dei propri contenuti avendo cura della costanza.
Le relazioni si creano con il tempo e per gradi, costruendo ed offrendo agli altri un qualcosa di concreto che valga la pena di poter essere visto, letto, commentato e di conseguenza essere seguito generando fiducia.
Il tema del personal branding è di grande attualità in rapporto alla costante crescita delle persone che decidono “di pubblicarsi” in rete, ma, com’è ovvio, non è proprio una novità che i personaggi pubblici (dai politici alle star della fiction) curano meticolosamente la propria immagine da sempre. Il problema che si pone in Rete – su questo sono daccordo con gli interventi di Patrizia e Michela – è che il web non è che l’estensione della nostra vita materiale, in tal senso la nostra realtà vitale si è espansa sino a ricomprendere coerentemente anche la vita digitale (e quella virtuale? Per il momento non ne parliamo, ma ricordiamoci che le profezie che si auto adempiono hanno un effetto, appunto, reale). Certamente è difficile pensare di conciliare queste dimensioni della nostra vita senza avere una vita interiore ed intellettuale compatibile, quindi un buon mattone da cui partire sono sicuramente le cosiddette “sicurezze fondamentali”. Ma una sicurezza è anche quella di tenere le cose a cui ci ancoriamo sempre rivedibili (che laboratorio!), quasi incompiute, restare sempre verdi direbbe il filosofo Gilberto Freye (incompiuto per progetto ad 80 anni!). Io direi, semplicemente, niente fondamentalismi, che significa anche rinunciare a qualsiasi forma di potere e correre il rischio di comunicare veramente e far emerge il nuovo, che può essere anche non tuo, anzi spesso non lo è (ma attenzione, non è affatto semplice, chi tiene a bada la vanità?). La credibilità si acquisisce col tempo grazie ai “diffusori di fiducia”, persone significative che decidono di appoggiare il nostro brand-persona per affinità, empatia, interesse, amicizia, amore, ecc., riferendosi a quello che diciamo nelle varie nicchie mediatiche che presenziamo (non solo web), ma che non rispondono certo per le nostre azioni (prova a “pestare una cacca” e vedrai il vuoto attorno te!). Un problema serio è quello della complessità dei dati sulle persone (troppe informazioni, troppo disperse, poco chiare) che ostacolano il formularsi di un’idea precisa su di una persona relativamente pubblica (che futuro per i buzz analyzer!). Credo perciò che sia inevitabile “specializzare” la nostra immagine su una nicchia tematica, facendo crescere le nostre competenze di pari passo con la popolarità che acquisiamo. Intendo dire che non necessariamente la direzione di sviluppo sia “dalla vita reale a quella digitale”, può avvenire tranquillamente il contrario, ma bisogna esser pronti a capitalizzare i successi! Alla prossima. Sergio Rossi